Il Blog dell'Ordine degli Avvocati di Messina

Referendum costituzionale. Le ragioni del no.
Intervista al prof Morelli.

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Come anticipato la scorsa settimana, abbiamo chiesto al professor Alessandro Morelli, professore ordinario di Diritto costituzionale, nell’Università degli Studi “Magna Græcia” di Catanzaro, di spiegarci le ragioni fondamentali che lo inducono a sostenere la posizione del “no” al referendum costituzionale, che si svolgerà il prossimo 4 dicembre.

Su questa linea, abbiamo domandato al professor Morelli di spiegarci in cosa consiste il superamento del bicameralismo perfetto e come cambia la funzione del Senato sulla base della riforma costituzionale.

«L’introduzione del bicameralismo imperfetto è la novità più rilevante della riforma costituzionale. Il Senato non rappresenterà più la nazione (compito che sarà riservato a ciascun membro della Camera dei deputati), ma le “istituzioni territoriali”. L’organo sarà formato, infatti, da novantacinque senatori eletti, con metodo proporzionale, dai consigli regionali e dai consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano tra i propri componenti e, nella misura di uno per ogni consiglio, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. A questi potranno aggiungersi cinque senatori eventualmente nominati dal Presidente della Repubblica per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Questi ultimi rimarranno in carica non più a vita, ma solo per sette anni e non potranno essere nuovamente nominati. Le concrete modalità di svolgimento delle elezioni dei senatori saranno definite da una legge approvata da entrambe le Camere. Si prevede, inoltre, che la durata del mandato dei senatori coinciderà con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali essi saranno stati eletti, “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”, secondo le modalità stabilite dalla legge elettorale del Senato.
Cambieranno anche le funzioni dell’organo, al quale verrà, innanzitutto, sottratto il potere di dare e di revocare la fiducia al Governo, competenza riconosciuta ora soltanto alla Camera. Il Senato eserciterà “funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica” e concorrerà all’esercizio della funzione legislativa. In particolare, alcune leggi continueranno ad essere approvate da entrambe le Camere (come le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, quelle di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari e le altre forme di consultazione ora introdotte nell’art. 71 Cost. novellato, ecc.). Tutte le altre, secondo la logica del bicameralismo differenziato, saranno approvate solo dalla Camera. Il Senato potrà chiedere di esaminare il progetto ed entro trenta giorni dalla richiesta potrà deliberare proposte di modificazione del testo. In ogni caso, la Camera potrà approvare la legge senza recepire le proposte del Senato. A quest’ultimo spetterà, inoltre, il compito di concorrere all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea, nonché quello di partecipare alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea, di valutare le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e di verificare l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. L’organo concorrerà, infine, ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato».

A questo punto, quali sono le critiche cui si espone il sistema descritto?

«Per quanto riguarda la composizione, non si spiega, innanzitutto, la presenza all’interno di un organo chiamato a rappresentare le “istituzioni territoriali” di senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Non appare chiara, inoltre, la logica alla quale ci si sia ispirati nella previsione, accanto ai consiglieri regionali, di senatori-sindaci: la presenza di rappresentanti di diversi livelli territoriali di governo rischia, infatti, d’innescare conflittualità interne all’organo che ne potrebbero compromettere la funzionalità. Si è anche rilevato che difficilmente i nuovi senatori potranno svolgere, in modo efficiente, entrambi gli incarichi ricoperti: quello di parlamentare e quello di amministratore locale. Resta indecisa, infine, la questione relativa all’elezione diretta o indiretta dei componenti dell’organo, essendo, di fatto, rimessa la soluzione alla futura legge elettorale del Senato.
Nel complesso, si teme che il secondo ramo del Parlamento, privato delle sue funzioni più qualificanti e depotenziato, possa risultare un organo politicamente irrilevante, dandosi così vita ad un monocameralismo di fatto».

A proposito della revisione del Titolo della Parte II della Costituzione qual è la sua idea?

«Il fallimento del bicameralismo differenziato potrebbe avere effetti sistemici deleteri, poiché alle forme di partecipazione delle “istituzioni territoriali” previste nel nuovo Senato fa da contraltare un sensibile ridimensionamento del sistema delle autonomie. Il disegno della riforma, per la parte relativa al nuovo Titolo V, è fortemente centralista».

Come valuta, in particolare, l’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni proposto dalla riforma, con conseguente incremento delle materie di competenza statale?

«Per quanto riguarda le funzioni legislative regionali, le novità più rilevanti sono l’eliminazione della potestà legislativa concorrente, la riconduzione alla potestà esclusiva dello Stato di una serie di materie attualmente di competenza concorrente, l’introduzione della “clausola di salvaguardia”, consistente nella possibilità per il legislatore statale d’intervenire, su proposta del Governo, in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiedano la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica”, oppure la “tutela dell’interesse nazionale”. Si prevede, poi, in linea con la riforma Delrio, la cancellazione delle Province dal testo costituzionale (che equivale non a una loro definitiva soppressione, ma solo alla decostituzionalizzazione delle relative previsioni).
Anche il disegno del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione non appare chiaro. Si è rilevato, in particolare, che se l’intento dei riformatori era quello di ridurre il contenzioso tra Stato e Regioni, non si spiega l’eliminazione della potestà concorrente, che è, tra le competenze legislative, quella che ha generato meno conflitti. E, d’altro canto, la previsione della possibilità per il legislatore statale di dettare “disposizioni generali e comuni” in talune materie di potestà esclusiva (ad esempio, in ambito di tutela della salute, politiche sociali e sicurezza alimentare) potrebbe introdurre surrettiziamente una nuova forma di concorrenza tra competenze legislative di Stato e Regioni».

Ritiene che si possa configurare, nel testo di revisione costituzionale, un vulnus per il principio democratico o comunque un indebolimento del sistema delle garanzie?

«Non è possibile ignorare che il Parlamento che ha approvato la legge di revisione costituzionale (modificativa di ben 47 articoli della Carta) è stato eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte con la sentenza n. 1 del 2014. Lo stesso Giudice delle leggi ha precisato, in quell’occasione, che gli atti precedentemente posti in essere dalle Camere si sarebbero dovuti considerare validi e che lo stesso Parlamento avrebbe potuto continuare a svolgere le proprie funzioni in ragione del principio di continuità dello Stato. Il problema della carenza di legittimazione delle Assemblee legislative che hanno approvato la riforma sembra, tuttavia, avere ispirato la promozione, anche da parte delle forze politiche di maggioranza, del referendum costituzionale: l’intento parrebbe essere stato proprio quello di compensare il deficit di legittimazione con una votazione popolare. In tale prospettiva, i problemi inerenti alla formulazione del quesito referendario, relativamente ai quali sono stati esperiti alcuni ricorsi all’autorità giudiziaria, appaiono particolarmente rilevanti».

Si possono ravvisare veri e propri rischi per la forma democratica nella revisione costituzionale?

«Per quanto concerne, poi, i rischi che la revisione potrebbe comportare per la forma democratica, non mi sembra condivisibile la posizione di chi ritiene che l’elezione indiretta dei senatori possa tradursi in una lesione del principio di sovranità popolare, considerato che quest’ultimo, come ha chiarito la Corte costituzionale, trova espressione in diversi luoghi istituzionali dell’ordinamento e non esige necessariamente una designazione diretta dei rappresentanti politici da parte del corpo elettorale. Più consistenti appaiono, invece, le critiche inerenti ai rischi d’indebolimento del sistema delle garanzie: il depotenziamento del Senato, le variazioni introdotte in merito alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte costituzionale e il forte accentramento delle competenze normative in capo allo Stato potrebbero sbilanciare il complessivo sistema dei contropoteri. Si deve aggiungere che l’attuale legge elettorale è idonea a produrre effetti fortemente maggioritari, con ulteriori rischi, nel medio-lungo periodo, per la tenuta complessiva dell’assetto democratico. Com’è noto, al referendum non saremo chiamati a esprimerci sull’“Italicum”, ma sulla proposta di revisione del testo costituzionale. E, tuttavia, è innegabile che, nella valutazione d’insieme sul probabile impatto della riforma, non potremo non tener conto anche della normativa elettorale vigente, che costituisce un dato imprescindibile per la ricostruzione dei caratteri propri della forma di governo».

Grazie al professore Morelli per il sapiente contributo, offerto con pazienza a MessinOrdine, che ci consente di arricchire il bagaglio di conoscenze necessario per scegliere il voto da esprime il prossimo 4 dicembre.

Simona-Raffaele
Simona Raffaele

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2 commenti

  1. Salvatore CAMAIONI on

    Alle condivisibili argomentazioni del prof. Morelli si può aggiungere che l’alterazione del sapiente dosaggio, operato dalla Costituzione del 1948, dei poteri degli organi costituzionali e delle conseguenti garanzie di equilibrio, nella diversa direzione di uno sbilanciamento verso il Governo -che dovrà ottenere la fiducia dalla sola Camera dei Deputati, saldamente in mano, grazie allo sproporzionato ed antidemocratico premio di maggioranza, al partito che avrà vinto le elezioni- che potrà pilotare l’elezione del Capo dello Stato, destinato a perdere così il suo indispensabile profilo di garanzia, e conseguentemente della Corte Costituzionale, che vedrà sensibilmente ridimensionato il suo ruolo di giudice imparziale delle leggi. La sostanziale inutilità del nuovo Senato, unitamente al pieno controllo, da parte della maggioranza governativa, della Camera dei Deputati, trasferirà di fatto la funzione legislativa dal Parlamento al Governo. Senza alcun contrappeso.

  2. Le regioni votano in periodi diversi l’una dall’altra per cui il senato potrebbe cambiare componenti e potrebbe essere un contrappeso valido per mantenere una forma democratica al paese.

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